Silenzio, c’era un silenzio da sembrare quasi disumano. Nel mio pensiero rimbombava il battito del mio cuore, tutto era fermo, tutto era immobile. Si sentiva qua e là il cinguettio di qualche uccellino che anche lui osservava. Le fronde degli alberi cantavano al vento, le nuvole alte, su nel cielo, che si spostavano, quasi avevano paura, la mia stessa paura.

Tra i mattoni, le rocce e la calce di quel muro spiccava il verde di quei pochi muschi, la loro presenza dà speranza di vita, quella vita che proprio qui si è persa. Gli scricchiolii di quel legno, che coi piedi calpestavo, calpestavo la pelle di coloro che sono morti qui dentro. Finestre, sbarrate col ferro, duro e arrugginito, che ha bloccato quella voce, la voce di chi urlava, di notte, dal freddo pungente. Quel forno, che col suo fuoco ha bruciato, con le sue fiamme ha distrutto, che col suo fumo ha oscurato la vista. L’acqua, calda o fredda, bianca o rossa, rossa del sangue e della voce delle persone che ancora urlano nel vento, quel vento che solo lì si respira.

Un mattone, uno come gli altri che ci sono, che sono stati portati gradino per gradino, con le mani rotte, da coloro che hanno costruito.

L’erba verde là, secca di lì, e qui… l’erba manca, non c’è più, come il loro ricordo.

Simone Cattaneo (ispirato dalla visita nel corso del viaggio di istruzione delle classi terze)

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