Giovedì 21 novembre siamo andate a Lecco, in particolare da Telefono Donna, il centro antiviolenza che aiuta le donne vittime di violenza nel territorio lecchese. Abbiamo incontrato Maria Grazia e Rita, due operatrici super disponibili e molto preparate che hanno risposto a tutte le domande che avevamo preparato la settimana precedente. Erano più di venti! Perché siamo andate da Telefono Donna? Risposta facile! Il 25 novembre è la giornata mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne e abbiamo deciso che era giunto il momento di fare la nostra parte. Voi lo sapete che, secondo i dati Istat, in media ogni anno in Italia ci sono 100 femminicidi? Lo sapete che secondo il Global Gender Gap Index, ci vorranno più di 130 anni per colmare le differenze tra uomini e donne? Noi abbiamo pensato a quanto sarebbe stato utile sensibilizzare alla tematica il maggior numero di persone all’interno della nostra scuola e beh, con questa intervista abbiamo fatto del nostro meglio!
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Cos’è un centro antiviolenza e a cosa serve?
Un centro antiviolenza è un luogo sicuro dove le donne che hanno subito violenza (fisica, psicologica, economica e in ogni sua forma),vanno per raccontare cosa è accaduto o sta succedendo con il loro partner, padre, figlio o con un qualsiasi uomo abusante. Dopo aver ascoltato il racconto, noi operatrici cerchiamo una soluzione con la donna. Ogni strategia è differente dall’altra, perché le situazioni che possono esserci sono diverse tra di loro.
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Da quanto tempo è aperto Telefono Donna?
Telefono Donna è stato aperto nel 1988.
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Nel 2024 quante donne sono arrivate da voi?
Fino ad adesso 155 donne sono arrivate a chiedere aiuto. Di certo dopo la morte di Giulia Cecchettin molte più donne hanno preso il coraggio di raccontare le violenze subite. La vicenda di Giulia ha infatti aiutato tante persone a capire che il dolore che stavano vivendo non poteva più essere taciuto.
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Quali sono i casi di violenza più frequenti?
I casi più frequenti sono quelli di violenza domestica, ossia le situazioni in cui un marito, compagno, fidanzato esercita violenza fisica, sessuale, psicologica o economica verso la compagna. Ci sono anche molti casi di stalking, che però prima del 2010 non si denunciava. In generale notiamo che c’è poca sensibilità verso la violenza: questo significa che alcune donne si trovano a vivere situazioni violente, ma non se ne rendono nemmeno conto. Il problema non è però della singola persona, ma della società in cui viviamo, nella quale spesso non si dà troppo peso a manifestazioni di violenza o di mancanza di rispetto.
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Qual è la fascia di età che viene maggiormente qui?
Accogliamo maggiormente donne tra i 35 e i 45 anni.
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Arrivano tante donne straniere?
Alcuni potrebbero pensare che le donne straniere siano maggiormente soggette alla violenza da parte dei partner, ma questo è un pregiudizio. Infatti l’80% delle donne che arrivano da Telefono Donna sono italiane e la maggior parte degli uomini violenti sono italianissimi.
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Da Telefono Donna possono andare anche le minori? Vi è capitato?
In generale noi possiamo accogliere ragazze minorenni solo se accompagnate da un genitore e ci è capitato più di una volta. Per esempio qualche anno fa abbiamo seguito il caso di una 17enne accompagnata da sua mamma con mandibola spaccata dal suo ex ragazzo. Il caso è stato abbastanza complicato, ma alla fine siamo riuscite ad aiutare la ragazza e lei è uscita dalla relazione violenta in cui era.
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Cosa fate concretamente per aiutare una donna che viene da voi?
Prima di tutto si risponde al telefono raccogliendo le informazioni generiche della donna, poi si fa un colloquio di persona per valutare la situazione. A questo punto l’operatrice fa le considerazioni del caso: molto spesso si propone alla donna un percorso psicologico per fare in modo che possa ricostruire la propria vita dopo gli episodi di violenza che ha subito. In altri casi la donna può avere bisogno di un percorso legale per denunciare l’uomo abusante o per divorziare dal marito. In altri casi si possono offrire percorsi lavorativi o alloggi in caso di bisogno.
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Possiamo definire femminicidio un’uccisione per gelosia? Per quali altri motivi può avvenire?
Il femminicidio è l’uccisione di una donna quando non rispetta il suo “ruolo” in senso vecchio, ossia quando non vuole essere in tutto e per tutto sottomessa all’uomo. Questo reato ha un lungo percorso di violenza prima e soprattutto non è un raptus, ma è ben ragionato. In ogni modo lo si intenda è imperdonabile. Un femminicidio puo’ avvenire quando un uomo è incapace di accettare un rifiuto oppure la volontà della compagna che è diversa dalla sua. Pensate a una cosa: qual è il femminile della parola aggressore?La parola aggressore non esiste al femminile perché è molto più probabile che un uomo faccia della violenza su una donna e non viceversa.
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Ci sono casi di violenza fatti non solo da fidanzati ma anche da padri, parenti o altri?
Sì, per esempio abbiamo avuto il caso di una mamma aggredita dal figlio, che è il peggior dolore che una mamma possa provare.
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Cosa succede agli uomini che fanno violenza?
Alcuni uomini vanno in prigione altri invece hanno un percorso giuridico fatto apposta perché la violenza è un reato. Noi non siamo per l’idea di metterli in prigione e buttare via la chiave, ma di fargli capire i loro errori attraverso dei percorsi psicologici dove imparano anche a controllare la rabbia. Per esempio nel carcere di Bollate (MI) c’è una realtà simile. Probabilmente arriverà anche a Lecco un centro per uomini violenti. Forse ci andranno in pochi di loro spontaneità, ma potrebbe essere una realtà utile.
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Come ci si sente ad ascoltare storie di donne maltrattate?
Male. Però si deve cercare di essere lucide per costruire insieme alla donna maltrattata una soluzione.
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Come far capire a un maschio che le prese in giro sono violenza?
Prima di tutto le prese in giro non vanno sottovalutate e non vanno mai accettate. Bisogna spalleggiarsi, parlare con le amiche e gli amici, ricordarsi che spesso la violenza è data dall’insicurezza.
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I nostri compagni dicono che non si parla abbastanza della violenza contro gli uomini, come potremmo rispondere?
Di certo esiste anche la violenza contro gli uomini, però l’anno scorso 1 donna ha ucciso un uomo, mentre i femminicidi sono stati più di 100. A livello numerico quindi la violenza contro le donne è un problema grande e per questo è molto importante parlarne .
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Quando i nostri compagni esagerano, non chiedono scusa e non sono rispettosi cosa possiamo fare?
Bisogna esigere rispetto. I ragazzi molto spesso non capiscono che l’altra persona possa star male. Dobbiamo impegnarci a far capire cosa ci offende.
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Da quali segnali posso capire che un uomo potrebbe essere violento?
Di certo la tendenza a isolare la compagna, il controllo ossessivo (per esempio controllare il telefono, i social, le attività che fa in ogni ora del giorno), voler avere sempre ragione, voler cancellare le amicizie della donna. Ricordatevi che se non c’è fiducia, non c’è una relazione sana e positiva
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Come possiamo evitare di finire in situazioni di violenza?
Prima di tutto non bisogna mai sottovalutare una situazione che ci sembra poco rispettosa o corretta. Bisogna parlarne con le amiche perché avere una buona squadra di supporto è indispensabile.
A questo punto la nostra intervista giunge al termine. Cosa abbiamo imparato?
Questa esperienza ci è servita molto perché ci ha aiutato a stare sempre allerta su comportamenti che di primo impatto possono sembrare normali e giusti, ma che non lo sono affatto.
Ascoltare il racconto di Maria Grazia e Rita ci ha toccato molto, perché ci siamo accorte che la violenza contro le donne è un problema vero e vicino a noi e non solo un argomento dei libri o dei telegiornali. Abbiamo però soprattutto capito che dobbiamo fare tutto il possibile per far sì che queste situazioni non succedano più né a noi, né alle nostre amiche.
Abbiamo conosciuto un posto sicuro a cui rivolgersi in caso di pericolo e questo non è da poco!
All’intervista e alla stesura dell’articolo hanno partecipato: Caterina G., Vanessa, Elisa, Giulia, Wendi, Chiara, Aurora, Gaia, Matilde, Issrae, Sara S., Letizia, Caterina P., Sara K., Swami