“Questa vittoria non è un punto di arrivo ma un punto di partenza”.”La vittoria è solo uno obiettivo secondario, il primo è divertirmi”. ”La sconfitta non è un fallimento ma mi aiuta a migliorare”.
Queste sono le 3 risposte che più ci hanno colpito dell’intervista che abbiamo fatto al giovane campione del mondo Daniele Bressani.
Daniele ha infatti vinto la medaglia d’oro, a soli 14 anni, nel campionato del mondo di kata, una disciplina del karate, con la squadra italiana.
La medaglia l’ha vinta nella finale che ha disputato a Buenos Aires in Argentina. Daniele è venuto a trovarci nella Redazione del nostro giornalino. A questo ospite speciale abbiamo fatto queste domande:
Come racconteresti la tua esperienza sportiva in poche parole?
Ho iniziato alle elementari a Tabiago. All’inizio il mio sogno era quello di diventare cintura nera e durante il mio percorso sono riuscito a raggiungere questo traguardo. In generale il mio è uno sport che richiede molti sacrifici.
Come spiegheresti il tuo sport a chi non lo conosce?
Il karate è uno sport fatto per la difesa e non per l’attacco. Il Kata invece è la mia specialità ed è una disciplina sportiva che non ha un avversario. L’intento infatti non è mai quello di fare male, bensì di contrattaccare per difendersi.
Come mai hai scelto proprio questo sport? Te l’ha consigliato qualcuno o hai scelto da solo?
Quando andavo alle elementari ho iniziato nella palestra di Tabiago. Non sapevo quale sport fare e mia mamma mi ha consigliato il karate, appunto lo sport che pratico ancora oggi.
Come ti fa sentire aver raggiunto un traguardo così grande da così giovane?
Ora sono contento e soddisfatto. So che ho raggiunto un ottimo traguardo, ma è un punto di partenza per raggiungere altri obiettivi.
Cosa hai pensato appena ti sei accorto di aver vinto?
Non l’ho capito subito, ma quando ho visto le 3 bandierine blu alzate, è stato molto emozionante perché è da molto che aspettavo questo momento!
Come ti ha accolto l’Italia al ritorno?
Un’accoglienza inaspettata. Uno striscione con scritto: Daniele il nostro campione dal cuore d’oro ed è stato preparato un piccolo aperitivo, molto caloroso. Ho passato così un bellissimo momento con la mia famiglia e i miei amici.
Come vivi il fatto di essere famoso?
Non mi considero famoso. Soddisfatto è la parola più giusta. Ho partecipato alla competizione non solo per me, ma anche per la Nazionale e per rendere importante il nostro Paese a livello internazionale.
Com’è stato il tifo straniero?
Strano perché quello sudamericano è più chiassoso ed euforico di quello europeo; noi siamo di certo meno festaioli.
Come sono organizzati i tuoi allenamenti?
Faccio tre allenamenti alla settimana; 2 tecnici in modo da non fare errori in gara e 1 per preparare il corpo con un allenamento in palestra.
Come gestisci la fatica?
Sento la fatica durante gli allenamenti, non nelle gare. Faccio in modo di trasformarla in motivazione per fare meglio. Quando invece la fatica è davvero troppa, smetto e mi fermo a recuperare le energie.
Come riesci a conciliare sport, scuola e tempo libero? Devi fare tante rinunce?
Cerco di incastrare tutto. Sicuramente ci sono sacrifici, infatti devo sempre trovare il giusto equilibrio per il tempo per lo studio e per il divertimento, ma di certo ne vale la pena.
Come vedi il tuo futuro? Continuerai o smetterai con lo sport?
Sicuramente per ora continuerò a praticarlo, sul futuro non posso ancora decidere, dipende da cosa succederà nella mia vita.
Come vivi la competizione?
In modo abbastanza positivo e senza prendermela con le squadre avversarie. Sono convinto che la competizione non deve trasformarsi in odio per l’avversario.
Quando perdi, ti ritieni un fallito o vedi la sconfitta come un’occasione per migliorare?
Assolutamente no, non mi ritengo un fallito. Certo, uno ci resta male, ma una sconfitta è comunque qualcosa da cui imparare. Si può rimanere delusi, ma un errore può anche essere un punto di partenza per migliorare.
Ci sono delle volte in cui hai perso e hai pensato di cambiare sport?
Quando perdo non penso mai di cambiare sport, perché questo sport mi piace molto e perché so che nella vita non puoi solo vincere. Se sbaglio cerco di capire esattamente quale errore ho commesso per non ripeterlo più.
Cosa pensi di chi dice che c’è un solo modo di fare sport, ossia vincere?
Penso che non sia assolutamente vero, perché sicuramente vincere è bello e talvolta può essere una bella ricompensa per tutto l’impegno messo, ma l’importante è avere partecipato con impegno e dedizione.
Chi ti ha motivato di più?
Inizialmente penso che sia stata la mia famiglia mentre nell’ultimo periodo i miei allenatori. Il loro supporto è servito molto perché mi hanno motivato a dare il massimo ed ero più tranquillo. Di certo non ce l’avrei fatta senza il sostegno da parte della mia famiglia. Sapevo che, in qualsiasi modo sarebbe andata la gara, i miei genitori, parenti e allenatori sarebbero comunque stati orgogliosi di me.
Com’è il tuo rapporto con gli allenatori?
Direi positivo e soprattutto umano. Sento tanta fiducia nei loro confronti perché non si limitano ad allenare fisicamente, ma aiutano anche a superare le difficoltà. Inoltre con gli allenatori ci si può sempre confrontare e chiedere aiuto per avvicinarsi ai propri obiettivi.
Come funziona lo psicologo sportivo?
Noi ragazzi della squadra lo incontriamo 5 o 6 volte all’anno insieme per parlare dei nostri problemi, del modo in cui dovremmo gestire lo sport, in previsione di una gara oppure per imparare a gestire l’ansia creata dallo sport.
Qual è il tuo rapporto con i compagni di scuola?
A scuola giustamente mi trattano come prima della gara e io non mi sento superiore a nessuno dei miei compagni solo per aver vinto una medaglia, ho chiesto io di continuare a trattarmi come prima.
Come hai gestito la scuola?
Gestire la scuola è molto impegnativo perché ho dovuto recuperare in due settimane tutto il lavoro che era stato fatto in classe oltre a tutte le verifiche e le interrogazioni. Con un po’ di impegno e qualche sacrificio sono però riuscito a mettermi in pari.
Intervista scritta da: Aurora, Ashley, Greta, Carlotta, Gabriele P., Gianluca, Samuele S.